«Non c’è verità storica», il Centro Peppino Impastato diffida l’ultimo libro di Roberto Saviano

La funzione intellettuale assunta da Roberto Saviano appartiene alla particolare categoria degli imprenditori morali, al prototipo dei creatori di norme, come codificato dal sociologo Howard S. Becker che in proposito scrive: «Opera con un’etica assoluta: ciò che vede è veramente e totalmente malvagio senza nessuna riserva e qualsiasi mezzo per eliminarlo è giustificato. Il crociato è fervente e virtuoso, e spesso si considera più giusto e virtuoso degli altri». Dietro l’autore Saviano c’è un dispositivo che l’utilizza come un marchio di garanzia che con le sue parole, i suoi libri, le sue prese di posizione, la sua semplice presenza, legittimate dalla postura cristica e l’interpretazione vittimistica del proprio ruolo, garantisce sulla verità morale, sempre più distante da quella storica. Questa macchina da guerra mediatica è messa a totale disposizione degli imprenditori delle emergenze, dei guerrieri delle battaglie giudiziarie contro il crimine. Il risultato è una trasfigurazione della lotta contro le organizzazioni criminali che rende mistica la legalità, edifica una forma di Stato etico che fa della soluzione giudiziario-militare predicata una medicina peggiore del male e azzera la pluridecennale lotta alle mafie organizzata dal basso, animata dalle lotte contadine, assolutamente autonoma e indipendente.

La vicenda di Peppino Impastato, militante di Democrazia proletaria, è paradigmatica in proposito. Assassinato nel maggio 1978 dai sicari di Tano Badalamenti, boss ferocemente anticomunista saldamente legato al potere democristiano, la sua morte è il teatro di una messa in scena che simula il fallito attentato di un aspirante “sovversivo comunista”. Il corpo imbottito di tritolo venne lasciato sui binari della ferrovia. La sinistra ufficiale, Pci in testa, schierata con la linea della fermezza antiterrorismo si disinteressò totalmente della vicenda. L’aspirazione a farsi Stato li portava a diffidare di qualunque posizione dissidente, voce critica e indipendente. Carabinieri e magistratura, allineati agli imput che provenivano dal potere politico centrale, per anni tennero un atteggiamento connivente che accreditava la falsa pista inventata dalla mafia. Potere politico, potere giudiziario, apparati dello Stato e sistema mafioso si tenevano assieme grazie ad un delicato gioco di equilibri fondato sullo scambio reciproco. Fuori restavano, dopo il processo d’integrazione consociativa del Pci nello Stato, solo piccole minoranze sociali. La memoria di questa realtà storica è oggi indicibile per gli imprenditori morali come Saviano poiché trasmette una concezione dell’antimafia opposta all’attuale, portatrice di un messaggio di autonomia e indipendenza di pensiero, una idea di lotta contro qualunque prepotenza e ipotesi di sfruttamento dell’imprenditoria mafiosa o meno, una idea di libertà piena delle persone che non ritiene una grande soluzione emancipatrice la sostituzione del potere mafioso con una ragnatela di norme sempre più asfissianti e liberticide da parte dello Stato

Paolo Persichetti
Liberazione 14 ottobre 2010

Peppino Impastato davanti alla sede di Radio aut a Cinisi. Dalle frequenze dellemittentte attaccava quotidianamente “Tano Seduto”, il boss Tano Badalamenti

Dopo Gomorra anche l’ultimo libro di Roberto Saviano, La parola contro la camorra, sta suscitando polemiche. Questa volta è il Centro Peppino Impastato a sollevare il problema con una diffida inviata all’editore Einaudi. Umberto Santino, presidente del Centro e antico amico e compagno di lotte di Peppino Impastato, lamenta le gravi inesattezze storiche presenti alla pagine 6 e 7 del volume dove si ricostruisce con una incredibile dose di superficialità la vicenda della riapertura delle indagini sull’assassinio nel maggio 1978 del giovane militante di Democrazia proletaria su ordine del boss di Cinisi Tano Badalamenti. Nella ricostruzione proposta da Saviano il merito di aver lacerato il velo di silenzio sulla morte di Impastato, consentendo anche la riapertura dei processi, viene attribuito per intero al film I cento passi di Marco Tullio Giordana, presentato al festival di Venezia nel settembre 2000. I due decenni precedenti, il fondamentale lavoro di controinformazione, condotto all’inizio in piena solitudine, dal Centro Impastato e dai suoi familiari scompaiono nel buco nero della storia. L’omissione, segnalano i legali del Centro, è tanto più grave perché l’operazione editoriale mira ad una diffusione di massa del testo che così contribuirebbe a edificare una riscrittura del passato contraria alla verità storica. L’infaticabile lavoro di denuncia del Centro Impastato aveva portato la commissione antimafia ad occuparsi della vicenda già nel 1998 mentre le indagini e i processi hanno tutti avuto inizio prima del film, che semmai ha coronato questo risveglio d’attenzione sulla vicenda. Saviano non è nuovo ad operazioni del genere. Quando non abbevera i suoi testi alle fonti investigative da mostra di evidenti limiti informativi. In un’altra occasione aveva anche raccontato di una telefonata ricevuta dalla madre di Impastato, «che abbiamo verificato non essere mai avvenuta» ha spiega Umberto Santino. Quest’ultimo episodio ripropone nuovamente gli interrogativi sul ruolo di amministratore della memoria dell’antimafia che a Saviano è stato attribuito da potenti gruppi editoriali. L’inquietante livello di osmosi raggiunto con gli apparati inquirenti e d’investigazione, che l’hanno trasformato in una sorta di divulgatore ufficiale delle procure antimafia e di alcuni corpi di polizia, dovrebbe sollevare domande sulla sua funzione intellettuale e sulla sua reale capacità d’indipendenza critica. Saviano oramai è un brand, un marchio, una sorta di macchina mediatica in mano ad alcuni apparati. L’uomo Saviano sembra divenuto una marionetta, un replicante. Quest’ultima omissione non appare affatto innocente ma la diretta conseguenza di una diversa concezione dell’antimafia risolutamente opposta all’antimafia sociale di Peppino Impastato. La verità sul suo assassinio venne a lungo tenuta nascosta anche grazie al depistaggio di carabinieri e magistratura. Un passato che con tutta evidenza il dispositivo Saviano non può più raccontare.

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13 pensieri su “«Non c’è verità storica», il Centro Peppino Impastato diffida l’ultimo libro di Roberto Saviano

  1. Pingback: «Non c’è verità storica», il Centro Peppino Impastato diffida l’ultimo libro di Roberto Saviano (via Insorgenze) « Polvere da sparo

  2. Di Gomorra, ho apprezzato una cosa: l’analisi sociale dei motivi di forza della camorra, l’importanza che dava ai ragionieri, ai sistemi di solidarietà interna, al rapporto con il mercato “legale”. Invece delle solite cose su boss sbruffoni e popolo vittima, insomma.

    Poi ho cominciato a disinteressarmene, appena ho visto che stava diventando un eroe mediatico.

  3. Sta gettando la maschera, adesso fa anche propaganda per i coloni sionisti. E’ un “prodotto” dell’editoria berlusconiana, e Gomorra, che ho letto è apprezzato, è un romanzo, punto.

  4. L’editore Einaudi ha risposto alla lettera di diffida per il libro di Saviano. Scrivono: “Riteniamo ingiustificate, gravi e diffamatorie, anche per le modalità con le quali sono state diffuse all’opinione pubblica, le affermazioni da Voi effettuate in ordine alla non correttezza e alla lesività di quanto dall’Autore e dalla nostra casa Editrice pubblicato, nonché l’accusa di ‘ricostruzione… quantomeno grossolana e superficiale’ e le ulteriori analoghe nella Vostra missiva riportate. Eppure una semplice e attenta lettura del testo da Voi contestato, e soprattutto del contesto nel quale esso è inserito, rende evidente che le affermazioni dell’autore nulla tolgono al ruolo svolto dal Centro siciliano di documentazione “G. Impastato”, né tanto meno si propongono l’obiettivo di una ricostruzione storica del delitto Impastato e delle vicende processuali successive. L’obiettivo del testo ‘La parola contro la camorra” dal quale sono state estrapolate le frasi ritenute in maniera apodittica lesive dell’identità del vostro cliente, è evidentemente quello di sottolineare il ruolo rilevante che può avere un film e, in generale, ogni forma di media, rispetto al compito di riportare alla memoria dell’opinione pubblica episodi di cronaca di primo piano”.

    Quindi a diffamare sarei io; il ruolo del Centro, che è totalmente ignorato, sarebbe riconosciuto; il film, che non ha avuto nessun effetto sul piano giudiziario e dell’accertamento della verità, avrebbe riportato alla memoria un “episodio di cronaca” come l’assassinio mafioso di Peppino, il successivo depistaggio ad opera di rappresentanti delle forze dell’ordine e della magistratura, con in testa l’allora maggiore Subranni, poi diventato generale, e il procuratore capo Martorana, la condanna dei mandanti dell’assassinio e la relazione della Commissione antimafia sul depistaggio, un fatto unico nella storia d’Italia. Quanto al modo in cui abbiamo diffuso la notizia della diffida, ci siamo limitati a darne comunicazione alla stampa, che in gran parte, da la Repubblica all’Unità, al manifesto, a Il Fatto quotidiano, l’ha ignorata. Vedremo cosa fare, per intanto prendiamo atto di questa riposta dell’Einaudi-Berlusconi e del fatto che Saviano si è negato più volte al confronto, perché avrebbe dovuto riconoscere che le sue affermazioni sono totalmente infondate.

  5. Gomorra fu una bella indagine sulla camorra, ma da quando Saviano è voluto diventare un personaggio dello spettacolo, perché è quello che sta diventando, me ne sto disinteressando…Sarà una valutazione superficiale, data dalla mia scarsa conoscenza dei fatti, ma per me da uomo, anche eroico come tutti coloro che hanno il coraggio di denunciare, è diventato un semplice opinionista…

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