7 aprile 1979, quando lo Stato si scatenò contro i movimenti

Dopo gli scontri del 14 dicembre a Roma, Maurizio Gasparri aveva chiesto di scatenare contro il movimento «arresti preventivi», definendo i manifestanti degli «assassini potenziali». Il «sette aprile» non fu uno strumento di repressione partorito dal ventennio mussoliniano, ma un dispositivo di repressione giudiziario-poliziesco e politico-culturale, messo a punto dal partito comunista italiano alla fine degli anni 70, sostenuto con feroce coerenza dal giornale fondato e diretto da Eugenio Scalfari. Il fatto che oggi sia un ex-post, sempre fascista, a reclamarlo chiama in causa gli eredi del Pci sparpagliati un po’ ovunque: nel Pd, nella Federazione della sinistra, in Sel o nell’Idv, alcuni persino nel Pdl. Se oggi chi milita in queste formazioni pensa che evocare il 7 aprile sia prova di fascismo, deve spiegarci perché allora venne congeniato quel modello di repressione dei movimenti e perché fino ad oggi non ne ha mai preso le distanze

Paolo Persichetti
Liberazione 22 dicembre 2010


Chi ha definito un rigurgito fascista la richiesta di un «nuovo 7 aprile» fatta da Maurizio Gasparri, cioè di «una vasta e decisa azione preventiva» da scatenare  contro i centri sociali ritenuti, a suo dire, i responsabili degli scontri avvenuti il 14 dicembre scorso a Roma, non ha detto una cosa giusta. Pietro Calogero, il pm di Padova che congeniò il teorema accusatorio firmando i primi 22 ordini di cattura che diedero via al blitz contro il gruppo dirigente dell’area dell’Autonomia operaia, tra cui Toni Negri, Franco Piperno e Oreste Scalzone, non era fascista. L’intera inchiesta, in relatà, fu preparata e supportata dal sostegno politico diretto del partito comunista, dall’azione di un suo dirigente locale, Severino Galante, dal lavoro riservato della sezione “Affari dello Stato” diretto da Ugo Pecchioli, dalla funzione di raccordo tra magistratura e sistema politico svolta da Luciano Violante. Membri del Pci erano alcuni dei testimoni chiave che consentirono di formulare la prima salva di accuse. In quegli anni il Pci dispiegò tutta la sua macchina organizzativa senza badare a sfumature per monitorare nei quartieri e nei posti di lavoro gli “estremisti” e i “sovversivi”, i cui nomi venivano poi affidati ai nuclei speciali del generale Dalla Chiesa. Addirittura intervenne sui giurati del processo di Torino contro il nucleo storico delle Br. Democristiano era invece Achille Gallucci, il giudice istruttore romano che lo stesso giorno spiccò altri mandati di cattura per «insurrezione armata contro i poteri dello Stato», avviando così il secondo troncone dell’inchiesta. Quell’episodio che molti giuristi, come Stefano Rodotà e Luigi Ferrajoli, continuano a ritenere una delle pietre miliari dell’emergenza giudiziaria che ha scardinato il sistema delle garanzie giuridiche avviando anche quella cultura della supplenza giudiziaria, senza la quale non avrebbe mai visto la luce “Mani pulite”, che aprì la strada al berlusconismo, nacque nel cuore della stagione del compromesso storico, della linea della fermezza, del consociativismo che annullava ogni differenza tra maggioranza e opposizione. Il Movimento sociale, partito nel quale militava all’epoca l’attuale presidente dei senatori del Pdl, era fuori dell’arco costituzionale. La legislazione speciale, l’introduzione delle carceri speciali, gli spregiudicati metodi d’indagine che permisero l’arresto dei militanti dell’Autonomia, votati anche con l’assenso dell’opposizione parlamentare, resero di gran lunga più repressivo il capitolo dei delitti politici presente nel codice penale elaborato per punire gli antifascisti da Alfredo Rocco, guardasigilli del regime mussoliniano. Il modello 7 aprile introdusse il ricorso al «rastrellamento giudiziario», cioè la contestazione di reati associativi di vecchio e nuovo conio senza l’individuazione di fatti circostanziati, la cui prova veniva rinviata nel tempo grazie ad una custodia preventiva allungata a dismisura. Di fatto l’arresto si trasformava in un vera e propria pena anticipata, scontata prima della sentenza. In questo modo le accuse si fondavano sul principio della “tipologia d’autore”, ad essere contestata era l’identità e la storia politica dell’imputato. Scelta motivata all’epoca con la necessità “prosciugare l’acqua dove nuota il pesce” per difendere lo Stato dall’attacco dei gruppi armati: l’anno prima era stato rapito e ucciso dalle Br il presidente della Dc Aldo Moro, attorno al movimento del ’77 si era diffusa un’area insurrezionale, un’arborescenza di sigle che alimentava azioni armate ovunque mentre il conflitto sociale era giunto all’apice. Pochi mesi prima era stato ucciso Guido Rossa. Tuttavia l’introduzione di quello che fu un vero “stato di eccezione giudiziario” venne sempre negata dalle forze politiche, ciò spiega il rimosso e il tabù attuale. La sinistra non ha mai fatto i conti con quella scelta, anzi col passar delle svolte e delle sigle l’ha iscritta a pieno nel proprio patrimonio culturale ritrovandosi nella paradossale situazione che vede oggi un fascista di allora rivendicarne con estrema naturalezza l’impiego. E’ stata la sinistra, spalleggiata dal partito-giornale di Repubblica, a mettere in piedi il micidiale modello repressivo e l’arsenale giuridico rivendicati oggi contro i movimenti da un personaggio come Gasparri. Quanto basta per avviare una riflessione critica mai veramente affrontata.

Per approfondire
La vera storia del processo di Torino al nucleo storico delle Brigate rosse. La giuria popolare venne composta grazie all’intervento del Pci
Il caso italiano, lo Stato di eccezione giudiziario
La giudiziarizzazione della eccezione (2)
Stato di eccezione giudiziario
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9 pensieri su “7 aprile 1979, quando lo Stato si scatenò contro i movimenti

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  3. perché allora venne congeniato quel modello di repressione dei movimenti e perché fino ad oggi non ne ha mai preso le distanze

    Non faccio parte di questi apparati ma posso spiegare. A mio modo di vedere il PCI di sinistra aveva molto nelle parole e poco nella sostanza e nei fatti. Estraneo al movimento del ’68, quando operai e studenti hanno capito che non avrebbe speso nulla per cambiare qualcosa in Italia, lo ha duramente contestato e questo si è rivoltato contro ai contestatori in maniera feroce. Il PCI si è speso bene nel tenere buoni i lavoratori, PDS DS PD e CGIL di oggi ne sono i degni continuatori.

  4. ..la dirigenza del PCi fu la più convinta sostenitrice di quel moto repressivo messo in piedi dallo Stato, appoggiando posizioni di totale repressione. La scuola Stalinista (e lo stalinismo ebbe la funzione in Russia di soffocare nel sangue ogni istanza autenticamente libertaria per ricondurre di fatto la rivoluzione entro un ambito statuale militarfascista di stampo assolutista) che li aveva formati abbinata alla loro funzione effettiva di agenti operanti per incarico del Capitale ne fece dei perfetti strumenti per organizzare nella società la Repressione e il soffocamento di ogni istanza rivendicativa e innovativa sostenendo l’apparato clericalaristocratico Statale Italiano.

  5. I centri sociali sono costituiti dai nipotini degli ex brigatisti rossi anni settanta. In molti casi possono diventare pericolosi se non abbandonano quella perversa e fallimentare posizione ideologica che ha animato il terrorismo rosso in quegli anni. Personaggi come Scalzone dovevano stare solo in carcere per i crimini commessi, e non rifugiati in Francia grazie a quel degno compare che era Mitterand. La storia darà il giudizio finale.

    Roberto Romano

  6. Concordo con quanto scritto da spilungone e da Noi;
    il PCI altro non fu, a parer mio, che un partito borghese che di comunista aveva ben poco (non dimentichiamo che il PCI ebbe come presidente finita la guerra Togliatti, il quale non si fece problemi a far fucilare i compagni non in linea con le direttive da Mosca in Spagna, durante la guerra civile spagnola, mentre in Italia terminata la seconda Guerra Mondiale non si fece problemi a dare l’amnistia agli assassini fascisti, e a cacciare poi Pasolini dal PCI perché omosessuale..non è da dimenticare anche la neutralità espressa dal PCI riguardo al referendum sul divorzio, per non perdere il consenso di vari cattolici vicini al pensiero Comunista..).
    Riguardo alla dicitura “terrorismo rosso” per le BR, a parer mio essa è erronea; perché non credo che all’epoca la gente uscisse dalle case con il timore di incappare in una bomba delle BR (che non mi sembra abbiano mai messo bombe in luoghi pubblici), come invece succedeva per le bombe e gli attentati di matrice neofascista, e come ora succede per gli attentati dovuti ad un certo “integralismo religioso”; ritengo che le BR possano essere definiti omicidi, o delinquenti, ma non terroristi, in quanto non credo portassero terrore nella popolazione, ma solo nella classe dirigente..questo è quello che penso..

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