Salvatore Genova, che liberò Dozier, racconta le torture ai brigatisti: «I vertici di Polizia sapevano»

Parla l’ex capo dei Nocs Salvatore Genova: «Torture ai brigatisti ben prima della Diaz»

Matteo Indice
Il Secolo XIX, 17 giugno 2007

Il processo alle torture come in “Alice e il Paese delle meraviglie”: Cesare Di Lenardo, il torturato, è nella gabbia mentre i suoi torturatori seguono le udienze a piede libero

Lo sfogo del superpoliziotto Salvatore Genova è inarrestabile: «Ci sono stati errori incredibili e violenza gratuita al G8, ma dai vertici  della polizia non è mai stata presa in considerazione l’ipotesi di  un’inchiesta interna, figuriamoci di quella parlamentare, sebbene le  defaillance fossero state segnalate in modo circoscritto dai poliziotti  stessi. E ci furono torture e pestaggi inutili anche nel periodo della  lotta al terrorismo, nei confronti di alcuni brigatisti arrestati. Ma  allora, come oggi, nonostante ripetute sollecitazioni a fare chiarezza,  lettere protocollate e incontri riservatissimi, ci si è ben guardati  dall’avviare i doverosi accertamenti. Si è preferito, in base a logiche di  potere, lasciare che l’opinione pubblica rimanesse nell’incertezza, con il  risultato di delegittimare tutto il Corpo».
Sul tavolo della sua scrivania ci sono i carteggi degli ultimi quindici  anni con l’ex capo della polizia, Fernando Masone, e con l’attuale numero  uno, Gianni De Gennaro. Informative «personali», «strettamente riservate» nelle quali Salvatore Genova – che nel gennaio del 1982 liberò a Padova il  generale americano James Lee Dozier, prigioniero delle Brigate Rosse – chiede l’istituzione di Commissioni, l’acquisizione di documenti e l’interrogazione di testimoni. Vuole che venga fatta luce su una delle pagine più oscure nella storia della lotta all’eversione. Ovvero: le torture alle quali almeno cinque brigatisti vennero sottoposti nella sede del Reparto mobile di Padova. Un episodio per il quale lo stesso Genova è stato indagato (mai processato, poiché nel frattempo era stato eletto alla Camera, ndr) e che in primo grado portò il tribunale della città veneta a profilare l’esistenza «d’una struttura gestita dalle più alte gerarchie che contemplava l’impiego di metodi violentissimi».


«L’irruzione alla scuola Diaz e l’oscurantismo di cui si è tornati a parlare negli ultimi giorni – dice ora Genova – hanno molti elementi in comune con i fatti di allora. Dimostrano che nella storia d’Italia, nei casi in cui più gravemente la polizia s’è macchiata di aggressioni “politiche” ad opera di gruppi molto ristretti, si è aggirata la strada più coerente, quella dell’inchiesta amministrativa. E il risultato è il malessere diffuso di cui leggiamo ogni giorno». Non arrivano a caso, le parole di Genova, ma sono legate a due procedimenti giudiziari che accomunano, non solo nella suggestione, gli anni ’80 al post G8. È cronaca recentissima la deposizione-choc di Michelangelo Fournier, uno dei funzionari (oggi imputato) che guidò il blitz alla Diaz la notte fra il 21 e il 22 luglio 2001: «Ho visto scene da macelleria messicana – ha ribadito ai giudici – la situazione era completamente fuori controllo».
Salvatore Genova di quella storia è stato testimone indiretto, in questi giorni ha avuto contatti con i magistrati che sostengono l’accusa. Poco dopo la conclusione del vertice, scrisse una dettagliata relazione a Roma sulla disastrosa gestione dell’ordine pubblico, chiedendo di approfondire la materia ma senza mai ricevere risposta.
Di pari passo agli “squarci” sul G8, la segnalazione del responsabile del Sisde, Franco Gabrielli, nell’analisi presentata al comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. Il capo degli 007, nel paventare una saldatura fra vecchie e nuove leve dell’estremismo, s’è detto preoccupato per l’imminente scarcerazione di Cesare Di Lenardo (1), “irriducibile” arrestato per il sequestro Dozier e che con la sua denuncia fece alzare il velo sulle torture. «La coincidenza – spiega il superpoliziotto Genova – mi ha spinto a espormi. Sono alla soglia della pensione, posso permettermi dopo trent’anni di servizio di svelare alcuni dei mali profondi della polizia, quelli che a volte hanno inciso profondamente sull’opinione pubblica, delegittimando la dedizione di migliaia di operatori che ogni giorno sono sulla strada».
Il racconto inizia dal G8, dalle ore che hanno preceduto il blitz alla Diaz. «Con poche centinaia di uomini – ricorda Genova – dovevamo fronteggiare in stazione il deflusso di oltre ventimila manifestanti. Improvvisamente il supporto del Reparto Mobile, fondamentale, venne meno perché furono dirottati altrove, in vista dell’irruzione. Siamo rimasti praticamente “nudi”. Potevano massacrarci. Eppure il confronto è stato gestito senza drammi, dialogando con i dimostranti. Nel frattempo, ascoltavamo via radio quello che si stava preparando altrove e veniva da rabbrividire, con funzionari arrivati da fuori che non conoscevano minimamente la città e dovevano gestire situazioni delicatissime. Abbiamo telefonato decine di volte alla centrale operativa della questura – continua il poliziotto – dicendo che Brignole poteva trasformarsi in una mattanza. Abbiamo dovuto spegnere le televisioni che facevano rimbalzare le immagini dei pestaggi nella scuola, per non infiammare gli animi. Ebbene, in quel contesto, i superiori ci hanno lasciato in cinquanta, davanti a ventimila.
E io mi sono chiesto chi fossero realmente i “nemici”, gli avversari, se forse non stessero dalla nostra stessa parte».
Le stesse considerazioni, in un dettagliato resoconto scritto, sono sul tavolo di almeno tre altissimi funzionari romani, che si sono ben guardati dall’approfondire la vicenda. Come mai nessuno, nonostante le ultime lettere risalgano al 2005, ha voluto indagare sulle torture? «Nei primi anni ’80 esistevano due gruppi – ricorda Genova – di cui tutti sapevano: “I vendicatori della notte” e “I cinque dell’Ave Maria”. I primi operavano nella caserma di Padova, dov’erano detenuti i brigatisti fermati per Dozier (oltre a Cesare Di Lenardo c’erano Antonio Savasta, Emilia Libera, Emanuela Frascella e Giovanni Ciucci)». E denuncia: «Succedeva esattamente quello che i terroristi hanno raccontato: li legavano con gli occhi bendati, com’era scritto persino su un ordine di servizio, e poi erano costretti a bere abbondanti dosi di acqua e sale. Una volta, presentandomi al mattino per un interrogatorio, Savasta mi disse: “Ma perché continuano a torturarci, che stiamo collaborando?” (La sua “dissociazione” permise centinaia di arresti, ndr). Le violenze avvenivano di notte, naturalmente, e poi è stato facile confondere le acque mandando sotto processo le persone sbagliate. Le stesse che ancora oggi, pur assolte, continuano a ricevere minacce. E allora: perché per quasi vent’anni, a dispetto delle reiterate sollecitazioni, non si è mai voluta affrontare sul serio quella pagina?».
Il discorso è più ampio e inquietante quando entrano in gioco “I cinque dell’Ave Maria”. Rievoca Genova: «Ovunque era nota l’esistenza della “squadretta torturatori” che si muoveva in più zone d’Italia, poiché altri Br (in particolare Ennio Di Rocco e Stefano Petrella, bloccati dalla Digos di Roma) avevano già denunciato procedure identiche. Non sarebbe stato difficile individuarne nomi, cognomi e “mandanti” a quei tempi. Ecco, il rimpallo di responsabilità, le “amnesie” che caratterizzano le deposizioni sul G8 e la scuola Diaz dimostrano che purtroppo il metodo, per alcuni gruppi ristretti ma potenti, non è cambiato».

(1) Contrariamente a quanto affermato dal capo del Sisde Cesare Di Lenardo non è mai stato scarcerato. Ha ormai raggiunto il suo trentesimo anno di detenzione.

Link
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Le torture contro i militanti della lotta armata

10 pensieri su “Salvatore Genova, che liberò Dozier, racconta le torture ai brigatisti: «I vertici di Polizia sapevano»

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  2. Al professore De tormentis. Se ti fa agire da irresponsabile, danneggiare o ferire chi ti sta intorno, allora non sei ancora un essere molto evoluto.

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  4. fate bene a parlarne, per carità…
    ma che le guardie mettano le mani addosso a chi je capita sotto non è una scoperta eccezionale!
    per questo insistete sulla struttura organizzata a far “cantare” i fermati.
    sarebbe diverso, si. ma la sostanza non cambia

    • Non cambia la sostanza ma cambia la “qualità” della sostanza. La struttura centralizzata era una emanazione del ministero dell’Interno che agì su mandato del governo.
      L’intera scala gerarchica dell’esecutivo era implicata: dal primo ministro Spadolini, al ministro dell’Interno Rognoni, al capo della Polizia e dell’Ucigos fino ai funzionari operativi come Improta, Ciocia e poi più in basso.
      Tutto ciò smentisce il racconto che è stato fatto e tutt’oggi viene ripetuto, per esempio da Giorgio Napolitano ad ogni occasione, ovvero per citare la frase che impiegò il presidente della Repubblica Sandro Pertini all’epoca: “l’Italia ha sconfitto la lotta armata con le aule di giustiza e non con gli stadi”. Il riferimento era ai fatti del Cile e dell’Argentina che avevano visto gli oppositori rinchiusi negli stadi di calcio trasformati in lager e torturati negli spogliatoi.
      Anche da noi ci furono degli spogliatoi….

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