A Giorgio Frau

Il discorso letto alla cerimonia di saluto per Giorgio Frau

di Barbara Balzerani
8 marzo 2013

foto GiorgioNon ti sedevi mai per primo. Lo facevi solo quando ognuno aveva trovato posto. E non per cortesia di maniera. Eri vissuto nelle strade dei quartieri che hanno fatto la storia proletaria di questa città e nelle celle delle galere di mezza Europa. Eppure sembravi un signore di altri tempi, con i tuoi modi garbati e persino qualche galanteria.
Con te era facile condividere il pane che con generosità hai sempre messo a tavola. Facile pensarti per un sostegno, una conferma. Anche in tempi di separazioni identitarie forti, tu ti sottraevi e, con un sorriso, declinavi l’invito a metterti da una parte sola della grande famiglia di fratelli separati che siamo stati.
Ci siamo persi e ritrovati più di una volta. Non è successo con tutte e tutti. Ma con te è successo, anche quando ho stentato a comprendere, nell’impossibilità di trovare traccia di un tuo torto verso chiunque avesse la faccia e il cuore di un compagno. In anni in cui di torti ce ne siamo fatti e tanti ne abbiamo subiti.
Sei stato sempre pronto a dare, quasi mai a chiedere. E’ un dettaglio, è il suo carattere ci dicevamo, deve vedersela da solo. E’ fatto così.
Come eri fatto? Possibile tanta leggerezza nel capire la tua profonda pena da parte di chi ti è stato accanto in questi anni difficili? Quella che adesso ci condanna al rimorso di averti lasciato solo fino a quel maledetto marciapiede dove la tua corsa s’è conclusa.
Quante volte i corpi morti dei compagni, delle compagne, ammazzati per strada ci hanno straziato gli occhi e l’anima con arpioni roventi. Ogni volta un pezzo di noi strappato alla nostra vita. Ogni volta a temere di non avere più forze per sostenerne il peso. Ma sembra non basti ancora. Adesso, al primo sole di questa primavera, l’oltraggio più inaspettato e crudele a questa nostra comunità di scampati, debole e inadeguata a impedire l’ennesima sconfitta, disegnata sulla disperante solitudine del tuo corpo morto a terra.
Ti ricordi? Sognavamo di andarcene da questo paese sfigurato. Facevamo itinerari ma sapevamo che era solo una favola bella che ci raccontavamo per attutire lo sconforto e l’impotenza. Neanche una vacanza, un viaggio siamo riusciti a fare. Anzi si. Uno si, quando abbiamo preso lo stesso treno per andare a salutare tutti insieme Prospero in quel piccolo cimitero sotto la neve.
Adesso dovremmo cominciarne un altro di viaggio. Senza di te. Caricando il nostro bagaglio della rabbia per la tua scelta e il dolore per la nostra cecità. Non abbiamo capito. Non abbiamo avvertito i tuoi muti segnali. Non fino a che punto ti tormentava non poter risarcire con qualche sollievo la vita dei tuoi anziani genitori. Non fino a che punto ti toglieva il sonno l’assillo per una precarietà d‘esistenza. Persino quanto ti metteva in difficoltà non poter rispondere alle altrui richieste d’aiuto.
E così tutto, irreparabile, s’è consumato. Abbiamo camminato a fianco, spesso in salita e controvento. Ma noi non c’eravamo nell’ultima tua giornata, sapevi che non potevamo condividerla. Non abbiamo saputo distoglierti né inventarci insieme vie d’uscita che potevano colmare la profondità della tua angoscia. Adesso possiamo solo un’ultima restituzione. Tenerti nel calore del nostro ricordo e farti una promessa: sapremo prenderci cura della tua Anna, stanne certo, anche se ancora non sappiamo dove andare a trovare le forze per sanare la ferita della tua perdita.
Ciao Giorgio! Non dimenticheremo il tuo sorriso buono. Ci sarà di consolazione tutte le volte che la tua assenza ci farà sentire ancora più soli!

Per Giorgio Frau da Parigi
Giorgio Frau venerdì 8 marzo l’ultimo saluto
A Giorgio Frau ucciso ieri a Roma

3 pensieri su “A Giorgio Frau

  1. Pingback: L’ultimo saluto a Giorgio Frau | Polvere da sparo

  2. la cosa peggiore è quella di non aver potuto aiutare ( con ogni mezzo a disposizione ) un compagno in difficoltà…quanti ancora hanno/avranno /avremo bisogno di una mano…come fare per aiutarci…

  3. Mi permetto di lasciare un commento, sebbene con molta discrezione, poichè non ho conosciuto Giorgio Frau nè Barbara Balzerani. Posso immaginare però il senso di solitudine interiore che Giorgio deve avere provato, lo stesso che prova il disoccupato esasperato che si da fuoco , la famiglia che perde la casa pignorata dalla banca, persino quegli imprenditori che si sono suicidati perchè oberati da tasse e debiti. Tutte vittime di un nemico comune: il capitalismo che nella sua crisi sistemica deve fagocitare i più deboli per sopravvivere.
    Le parole di Barbara esprimono una delicata elegia ma anche una profonda disperazione per i sogni infranti a cui si è sacrificata la vita o la gioventù. Sul finire degli anni 70 ero adolescente e quando leggevo i giornali mi colpiva la foto di quella ragazza dai capelli scuri , dal sorriso enigmatico e lo sguardo pensieroso. Il main stram mediatico la chiamava la primula rossa o la terrorista dagli occhi di ghiaccio. Mi infatuai di lei ritenendola, nelle mie fantasie, come invincibile e invincibili parvero le Brigate Rosse. L’illusione fu breve e quando la arrestarono provai un profondo rammarico. L’ ordine costituito era infinatamente più forte e Barbara, molti compagni e compagne subirono pene durissime e a volte spropositate come vendetta fatta passare per giustizia. Ora dai suoi scritti e dalle sue parole traspare un senso di comprensibile stanchezza nonchè la desolazione per un mondo divenuto peggiore. A lei e agli altri vorrei dire che non tutto è ancora perduto e lo sconfitto, pur nella sua tragicità, è la figura che si ricorda nella storiografia seria. Il tempo è galantuomo.
    Mi scuso per il lungo panegirico

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